Le problematiche relative alla gestione dei rifiuti sono state pressoché ignorate fino alla promulgazione nel 1982 del D.P.R. n. 915 ai cui enunciati è stata successivamente data applicazione con la delibera del 27 luglio 1984. A partire da questa data sono stati promulgati diversi provvedimenti tesi al miglioramento delle norme sulla gestione dei rifiuti: dal decreto Ronchi al Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/06) fino ad arrivare al recente ed importante decreto correttivo (D.Lgs. 4/2008) entrato in vigore il 13 Febbraio scorso.
Quanta strada è stata fatta e, se ancora ce n’è da fare, certamente non poco avanzati risultano i principi di fondo e gli obiettivi, sempre più in linea con gli orientamenti della Comunità Europea.
Eppure ancora assistiamo a prassi errate e consolidate nella gestione del rifiuto, non sempre condotte in mala fede ma comunque illegali, che confermano l’esistenza del problema.
Il produttore in quanto primo responsabile della gestione dei rifiuti è tenuto al rispetto di diversi obblighi alcuni dei quali concernenti la fase di produzione dei rifiuti e altri concernenti la scelta del soggetto al quale affidarli all’atto del conferimento.
E’ frequente incontrare titolari d’azienda convinti che, una volta conferiti i rifiuti ad un trasportatore, possono ritenersi completamente esonerati da ogni responsabilità in relazione alla corretta gestione del rifiuto e destinazione finale dello stesso.
In qualche caso ancora si assiste alla superficialità con cui il produttore pensa di poter trasportare con un proprio furgoncino i rifiuti prodotti dalla sua attività pur non essendo abilitato a farlo e motiva la condotta asserendo con apparente innocenza che quei rifiuti non sono pericolosi.
Altre volte il produttore vende il rifiuto ad un acquirente nulla adempiendo in relazione ai propri obblighi ambientali, sicuro che l’esistenza di un accordo contrattuale rappresenti il presupposto dell’inconfigurabilità di qualsiasi fattispecie che sia giuridicamente sanzionabile a norma di legge in materia di rifiuti.
E purtroppo sono ancora frequenti i casi in cui un titolare d’impresa conferisce i propri rifiuti ad un trasportatore credendo che questi possa occuparsi di tutto, ignaro del fatto che essere autorizzati al trasporto non significhi esserlo allo smaltimento o al recupero; talvolta si accetta di affidargli, per comodità o impreparazione, il compito di assegnazione del codice CER e la classificazione del rifiuto ignorando che la responsabilità resta invece sempre in capo al produttore e non è delegabile nemmeno quando il trasportatore campiona il rifiuto da gestire per far effettuare analisi presso gli impianti di destinazione: analisi, queste, di omologa che non escludono l’obbligo del produttore di eseguire personalmente (affidandola a laboratori specializzati per suo nome e suo conto) la caratterizzazione analitica del proprio rifiuto da conferire; sovente gli si affida la compilazione del formulario con l’unico impegno di doverlo firmare “ad occhi chiusi” anche quando incompleto se non addirittura (casi –ahimè– ancora esistenti) per niente compilato.
Nella migliore delle circostanze ci si preoccupa diligentemente di accertare che il trasportatore sia in possesso delle dovute autorizzazioni ma nulla si verifica in ordine al sito di destinazione finale.
La questione è certamente annosa e per molti versi già adeguatamente sviscerata da dottrina e giurisprudenza.
Una cosa è certa: queste prassi continuano ad essere assolutamente in contrasto con i dettami del D.Lgs. 152/06, configurando nella maggior parte dei casi gli estremi di attività fraudolente ed esponendo il produttore a responsabilità dirette, spesso penalmente sanzionate.
La responsabilità per la corretta gestione del rifiuto grava su tutti i soggetti coinvolti. L’art 178, comma 3 del D.Lgs. 152/2006, sancisce il principio di co-responsabilizzazione laddove afferma che “La gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti […]”.
Ma procediamo con ordine.
Uno dei maggiori oneri a carico del produttore è costituito dall’individuazione del soggetto idoneo a cui affidare i rifiuti prodotti, ovvero un soggetto dotato di tutte le autorizzazioni o iscrizioni richieste per legge per poter svolgere una o più fasi della gestione. La ditta dovrà dunque scegliere e affidare il rifiuto a un trasportatore, quando non sia lei stessa abilitata a farlo, correttamente iscritto all’Albo dei gestori ambientali che consegnerà il carico all’impianto di destinazione per lo smaltimento o il recupero che deve, a sua volta, essere legittimato a riceverlo, ovvero autorizzato secondo la procedura di cui all’art. 208 del D.Lgs. 152/2006.
Inoltre bisogna prestare attenzione al fatto che le due possibili procedure di iscrizione all’Albo, ordinaria e semplificata, non sono sovrapponibili per cui l’impresa iscritta in procedura semplificata non può svolgere le attività per le quali sono imposte le procedure ordinarie di iscrizione.
Non solo.
Come da chiarimento fornito in data 27 luglio 2007 dall’ Albo Gestori Ambientali (Circolare n. 1555), è possibile per un’impresa iscritta con procedura ordinaria trasportare i rifiuti anche fino ad impianti che effettuano le operazioni di recupero in procedura semplificata, ma non è ritenuto ammissibile l’inverso “in quanto l’iscrizione di cui alle categorie 2 o 3 vincola la destinazione dei rifiuti trasportati ad impianti che svolgono le operazioni di recupero in procedura semplificata ai sensi degli articoli 214 e 216 del D.Lgs 152/06”.
La rilevanza di tutti questi aspetti meglio si comprende se si considera che la consegna del rifiuto da parte del produttore a un trasportatore non iscritto regolarmente all’Albo si configura come gestione illecita di rifiuti a cui rispondono insieme produttore e trasportatore.
In tal senso si è espressa anche la Cassazione Penale nella sentenza n. 18038 del 11/05/2007, laddove afferma che nel caso in cui il soggetto ricevente il rifiuto non sia in possesso della prescritta autorizzazione, o sia autorizzato a ricevere rifiuti diversi da quelli oggetto di conferimento (ad esempio diverso codice CER o diversa classificazione), il produttore e il detentore del rifiuto rispondono a titolo di concorso del reato di cui all’art. 51, comma 1 del decreto Ronchi (D.Lgs. n. 22/1997), oggi sostituito dall’art. 256 D.Lgs. n. 152 del 2006, atteso che su questi grava l’obbligo di verifica della esistenza e regolarità della citata autorizzazione. Lo stesso orientamento già nel 2004 nella sentenza Cass. Pen. n. 7746 che chiarisce che “la responsabilità dei detentori o dei produttori dei rifiuti non è esclusa laddove questi si siano resi responsabili di comportamenti materiali o psicologici che abbiano determinato una compartecipazione, determinazione, rafforzamento o facilitazione negli illeciti commessi da soggetti dediti alla gestione dei rifiuti”.
Fondamentale e severamente sanzionata è inoltre tutta la procedura di trasporto che la norma ambientale ben si è preoccupata di dettagliare e disciplinare in modo chiaro e rigoroso costruendo un sistema in cui la responsabilità del produttore/detentore nella gestione del rifiuto non decade nemmeno quando i rifiuti sono conferiti al trasportatore.
In particolare l’art. 193 del D.Lgs. 152/06 dispone che i rifiuti siano sempre accompagnati durante il trasporto da un formulario di identificazione, le cui copie devono essere conservate per 5 anni.
Il formulario, per i cui contenuti si applicano le disposizioni del D.M. 145/1998 fino ad emanazione di nuovo decreto, deve essere compilato all’atto della partenza del rifiuto dal luogo di produzione con tutti i dati da esso richiesti, fatta eccezione per quelli che devono essere compilati dall’impianto finale di destinazione. E’ assolutamente fraudolenta la compilazione del formulario o il suo completamento a partenza già avvenuta o nel corso di una tappa intermedia.
E quand’anche il produttore avesse deciso di affidare al trasportatore la compilazione del formulario, ha l’onere di accertarsi e verificare che il documento sia correttamente compilato se vuole mettersi al riparo dalle possibili condotte illegali che verrebbero a configurarsi, ad esempio, nel momento in cui da una verifica della polizia giudiziaria su strada risulti una mancata rispondenza tra quanto dichiarato nel formulario e quanto emerso realmente dal carico in viaggio.
Ecco allora che sarebbe opportuno, ove redatto, accompagnare il trasporto anche con il certificato d’analisi del rifiuto oltre che con il formulario, in modo tale che il controllore che ferma il mezzo di trasporto su strada possa agevolmente stabilire la natura del rifiuto senza essere costretto a procedere ad un fermo amministrativo del mezzo stesso. La prudenza in tal senso non guasta visto che, anche in perfetta buona fede, si corre il rischio di un coinvolgimento in attività illecite quando non si dispone di prove sufficienti a dimostrarne la propria estraneità.
Ecco allora che anche la firma diventa un chiaro tratto distintivo perché è la conferma della corresponsabilità in tutto ciò che nel formulario viene scritto e riportato.
Pertanto, prima di apporre la propria firma o lasciare che il carico parta, è bene accertarsi con estrema scrupolosità almeno che:
Quanta strada è stata fatta e, se ancora ce n’è da fare, certamente non poco avanzati risultano i principi di fondo e gli obiettivi, sempre più in linea con gli orientamenti della Comunità Europea.
Eppure ancora assistiamo a prassi errate e consolidate nella gestione del rifiuto, non sempre condotte in mala fede ma comunque illegali, che confermano l’esistenza del problema.
Il produttore in quanto primo responsabile della gestione dei rifiuti è tenuto al rispetto di diversi obblighi alcuni dei quali concernenti la fase di produzione dei rifiuti e altri concernenti la scelta del soggetto al quale affidarli all’atto del conferimento.
E’ frequente incontrare titolari d’azienda convinti che, una volta conferiti i rifiuti ad un trasportatore, possono ritenersi completamente esonerati da ogni responsabilità in relazione alla corretta gestione del rifiuto e destinazione finale dello stesso.
In qualche caso ancora si assiste alla superficialità con cui il produttore pensa di poter trasportare con un proprio furgoncino i rifiuti prodotti dalla sua attività pur non essendo abilitato a farlo e motiva la condotta asserendo con apparente innocenza che quei rifiuti non sono pericolosi.
Altre volte il produttore vende il rifiuto ad un acquirente nulla adempiendo in relazione ai propri obblighi ambientali, sicuro che l’esistenza di un accordo contrattuale rappresenti il presupposto dell’inconfigurabilità di qualsiasi fattispecie che sia giuridicamente sanzionabile a norma di legge in materia di rifiuti.
E purtroppo sono ancora frequenti i casi in cui un titolare d’impresa conferisce i propri rifiuti ad un trasportatore credendo che questi possa occuparsi di tutto, ignaro del fatto che essere autorizzati al trasporto non significhi esserlo allo smaltimento o al recupero; talvolta si accetta di affidargli, per comodità o impreparazione, il compito di assegnazione del codice CER e la classificazione del rifiuto ignorando che la responsabilità resta invece sempre in capo al produttore e non è delegabile nemmeno quando il trasportatore campiona il rifiuto da gestire per far effettuare analisi presso gli impianti di destinazione: analisi, queste, di omologa che non escludono l’obbligo del produttore di eseguire personalmente (affidandola a laboratori specializzati per suo nome e suo conto) la caratterizzazione analitica del proprio rifiuto da conferire; sovente gli si affida la compilazione del formulario con l’unico impegno di doverlo firmare “ad occhi chiusi” anche quando incompleto se non addirittura (casi –ahimè– ancora esistenti) per niente compilato.
Nella migliore delle circostanze ci si preoccupa diligentemente di accertare che il trasportatore sia in possesso delle dovute autorizzazioni ma nulla si verifica in ordine al sito di destinazione finale.
La questione è certamente annosa e per molti versi già adeguatamente sviscerata da dottrina e giurisprudenza.
Una cosa è certa: queste prassi continuano ad essere assolutamente in contrasto con i dettami del D.Lgs. 152/06, configurando nella maggior parte dei casi gli estremi di attività fraudolente ed esponendo il produttore a responsabilità dirette, spesso penalmente sanzionate.
La responsabilità per la corretta gestione del rifiuto grava su tutti i soggetti coinvolti. L’art 178, comma 3 del D.Lgs. 152/2006, sancisce il principio di co-responsabilizzazione laddove afferma che “La gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti […]”.
Ma procediamo con ordine.
Uno dei maggiori oneri a carico del produttore è costituito dall’individuazione del soggetto idoneo a cui affidare i rifiuti prodotti, ovvero un soggetto dotato di tutte le autorizzazioni o iscrizioni richieste per legge per poter svolgere una o più fasi della gestione. La ditta dovrà dunque scegliere e affidare il rifiuto a un trasportatore, quando non sia lei stessa abilitata a farlo, correttamente iscritto all’Albo dei gestori ambientali che consegnerà il carico all’impianto di destinazione per lo smaltimento o il recupero che deve, a sua volta, essere legittimato a riceverlo, ovvero autorizzato secondo la procedura di cui all’art. 208 del D.Lgs. 152/2006.
Inoltre bisogna prestare attenzione al fatto che le due possibili procedure di iscrizione all’Albo, ordinaria e semplificata, non sono sovrapponibili per cui l’impresa iscritta in procedura semplificata non può svolgere le attività per le quali sono imposte le procedure ordinarie di iscrizione.
Non solo.
Come da chiarimento fornito in data 27 luglio 2007 dall’ Albo Gestori Ambientali (Circolare n. 1555), è possibile per un’impresa iscritta con procedura ordinaria trasportare i rifiuti anche fino ad impianti che effettuano le operazioni di recupero in procedura semplificata, ma non è ritenuto ammissibile l’inverso “in quanto l’iscrizione di cui alle categorie 2 o 3 vincola la destinazione dei rifiuti trasportati ad impianti che svolgono le operazioni di recupero in procedura semplificata ai sensi degli articoli 214 e 216 del D.Lgs 152/06”.
La rilevanza di tutti questi aspetti meglio si comprende se si considera che la consegna del rifiuto da parte del produttore a un trasportatore non iscritto regolarmente all’Albo si configura come gestione illecita di rifiuti a cui rispondono insieme produttore e trasportatore.
In tal senso si è espressa anche la Cassazione Penale nella sentenza n. 18038 del 11/05/2007, laddove afferma che nel caso in cui il soggetto ricevente il rifiuto non sia in possesso della prescritta autorizzazione, o sia autorizzato a ricevere rifiuti diversi da quelli oggetto di conferimento (ad esempio diverso codice CER o diversa classificazione), il produttore e il detentore del rifiuto rispondono a titolo di concorso del reato di cui all’art. 51, comma 1 del decreto Ronchi (D.Lgs. n. 22/1997), oggi sostituito dall’art. 256 D.Lgs. n. 152 del 2006, atteso che su questi grava l’obbligo di verifica della esistenza e regolarità della citata autorizzazione. Lo stesso orientamento già nel 2004 nella sentenza Cass. Pen. n. 7746 che chiarisce che “la responsabilità dei detentori o dei produttori dei rifiuti non è esclusa laddove questi si siano resi responsabili di comportamenti materiali o psicologici che abbiano determinato una compartecipazione, determinazione, rafforzamento o facilitazione negli illeciti commessi da soggetti dediti alla gestione dei rifiuti”.
Fondamentale e severamente sanzionata è inoltre tutta la procedura di trasporto che la norma ambientale ben si è preoccupata di dettagliare e disciplinare in modo chiaro e rigoroso costruendo un sistema in cui la responsabilità del produttore/detentore nella gestione del rifiuto non decade nemmeno quando i rifiuti sono conferiti al trasportatore.
In particolare l’art. 193 del D.Lgs. 152/06 dispone che i rifiuti siano sempre accompagnati durante il trasporto da un formulario di identificazione, le cui copie devono essere conservate per 5 anni.
Il formulario, per i cui contenuti si applicano le disposizioni del D.M. 145/1998 fino ad emanazione di nuovo decreto, deve essere compilato all’atto della partenza del rifiuto dal luogo di produzione con tutti i dati da esso richiesti, fatta eccezione per quelli che devono essere compilati dall’impianto finale di destinazione. E’ assolutamente fraudolenta la compilazione del formulario o il suo completamento a partenza già avvenuta o nel corso di una tappa intermedia.
E quand’anche il produttore avesse deciso di affidare al trasportatore la compilazione del formulario, ha l’onere di accertarsi e verificare che il documento sia correttamente compilato se vuole mettersi al riparo dalle possibili condotte illegali che verrebbero a configurarsi, ad esempio, nel momento in cui da una verifica della polizia giudiziaria su strada risulti una mancata rispondenza tra quanto dichiarato nel formulario e quanto emerso realmente dal carico in viaggio.
Ecco allora che sarebbe opportuno, ove redatto, accompagnare il trasporto anche con il certificato d’analisi del rifiuto oltre che con il formulario, in modo tale che il controllore che ferma il mezzo di trasporto su strada possa agevolmente stabilire la natura del rifiuto senza essere costretto a procedere ad un fermo amministrativo del mezzo stesso. La prudenza in tal senso non guasta visto che, anche in perfetta buona fede, si corre il rischio di un coinvolgimento in attività illecite quando non si dispone di prove sufficienti a dimostrarne la propria estraneità.
Ecco allora che anche la firma diventa un chiaro tratto distintivo perché è la conferma della corresponsabilità in tutto ciò che nel formulario viene scritto e riportato.
Pertanto, prima di apporre la propria firma o lasciare che il carico parta, è bene accertarsi con estrema scrupolosità almeno che:
- Il formulario sia correttamente compilato in ogni sua parte prima della partenza del rifiuto dal luogo di produzione;
- La destinazione sia indicata e non ignota e che sia scritto il nominativo e l’indirizzo dell’impianto finale.
- Origine, tipologia e caratteristiche chimico-fisiche del rifiuto siano correttamente indicate, oltre alla quantità del carico da trasportare che va indicata anche quando in partenza non esiste un sistema di pesatura.
- La quarta copia del documento ritorni in azienda entro 3 mesi dalla data di arrivo del trasportatore.
- Sia comunicata alla Provincia territorialmente competente l’eventuale mancato ritorno della quarta copia.
Gli ultimi due dei punti citati sono la riprova, ancora una volta, del fatto che il titolare d’impresa la cui attività ha generato il rifiuto è e resta responsabile della sua corretta gestione fino a quando non attesti, o abbia fatto di tutto per farlo, il buon esito del trasporto e dello smaltimento/recupero finale.
Si evidenzia che a parità di omissione totale del formulario o incompletezza, ci si ritrova di fronte ad una infrazione amministrativa nel caso di rifiuti non pericolosi e di fronte ad un illecito penale nel caso di rifiuti pericolosi.
Inoltre il D.Lgs. 152/06 stabilisce che nel caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare, indicate rispettivamente ai punti D13, D14, D15 dell’Allegato B alla parte quarta del suddetto decreto, la responsabilità dei produttori per il corretto smaltimento è esclusa a condizione che questi ultimi, oltre alla quarta copia del formulario di trasporto, abbiano ricevuto il certificato di avvenuto smaltimento rilasciato dal titolare dell’impianto che effettua le operazioni di cui ai punti da D1 a D12 del citato allegato B.
Ad onor di completezza, è opportuno evidenziare che la responsabilità del produttore per il corretto avvio a recupero o a smaltimento dei propri rifiuti è esclusa anche nel caso di conferimento al servizio pubblico di raccolta, con il quale sia stata stipulata apposita convenzione.
E’ chiaro a questo punto che anche il caso della vendita di un rifiuto ad un acquirente e senza alcuna cura della sua destinazione è una violazione di legge e a nulla valgono gli accordi contrattuali e commerciali stipulati se ciò che viene commercialmente ceduto rientra nella definizione oggettiva di rifiuto di cui all’art. 183 del D.Lgs. 152/06 e s.m.i..
Sulla stessa scia la considerazione secondo cui il titolare dell’azienda che non si cura di verificare che la destinazione indicata dal trasportatore sia effettivamente legale, avrà responsabilità di natura colposa perché avrà agito con imprudenza e imperizia per non aver appurato che il sito di destinazione finale fosse realmente legittimato a ricevere i rifiuti, e per l’esattezza quella tipologia di rifiuti che il produttore aveva necessità di smaltire.
Veniamo al trasporto conto proprio.
Questa attività è prevista e possibile ma a determinate condizioni.
Invero, in applicazione dell’art. 212 comma 8 del Dlgs 152/2006, come riformulato dal correttivo D.Lgs. 4/2008, sono obbligati ad iscriversi all’albo, sia pure con un regime agevolato:
Si evidenzia che a parità di omissione totale del formulario o incompletezza, ci si ritrova di fronte ad una infrazione amministrativa nel caso di rifiuti non pericolosi e di fronte ad un illecito penale nel caso di rifiuti pericolosi.
Inoltre il D.Lgs. 152/06 stabilisce che nel caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare, indicate rispettivamente ai punti D13, D14, D15 dell’Allegato B alla parte quarta del suddetto decreto, la responsabilità dei produttori per il corretto smaltimento è esclusa a condizione che questi ultimi, oltre alla quarta copia del formulario di trasporto, abbiano ricevuto il certificato di avvenuto smaltimento rilasciato dal titolare dell’impianto che effettua le operazioni di cui ai punti da D1 a D12 del citato allegato B.
Ad onor di completezza, è opportuno evidenziare che la responsabilità del produttore per il corretto avvio a recupero o a smaltimento dei propri rifiuti è esclusa anche nel caso di conferimento al servizio pubblico di raccolta, con il quale sia stata stipulata apposita convenzione.
E’ chiaro a questo punto che anche il caso della vendita di un rifiuto ad un acquirente e senza alcuna cura della sua destinazione è una violazione di legge e a nulla valgono gli accordi contrattuali e commerciali stipulati se ciò che viene commercialmente ceduto rientra nella definizione oggettiva di rifiuto di cui all’art. 183 del D.Lgs. 152/06 e s.m.i..
Sulla stessa scia la considerazione secondo cui il titolare dell’azienda che non si cura di verificare che la destinazione indicata dal trasportatore sia effettivamente legale, avrà responsabilità di natura colposa perché avrà agito con imprudenza e imperizia per non aver appurato che il sito di destinazione finale fosse realmente legittimato a ricevere i rifiuti, e per l’esattezza quella tipologia di rifiuti che il produttore aveva necessità di smaltire.
Veniamo al trasporto conto proprio.
Questa attività è prevista e possibile ma a determinate condizioni.
Invero, in applicazione dell’art. 212 comma 8 del Dlgs 152/2006, come riformulato dal correttivo D.Lgs. 4/2008, sono obbligati ad iscriversi all’albo, sia pure con un regime agevolato:
- i produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti a condizione che tali operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell’organizzazione dell’impresa dalla quale i rifiuti sono stati prodotti;
- i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto in quantità che non eccedano i 30 chilogrammi o 30 litri al giorno dei propri rifiuti pericolosi purché tali operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell’organizzazione dell’impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti.
In merito alla classificazione del rifiuto, è da dirsi che tale obbligo ricade in capo al produttore il quale, limitandomi a discutere dell’attribuzione del CER, deve fare riferimento al Catalogo Europeo dei Rifiuti (C.E.R.) presente nel D.Lgs. 152/06 agli allegati alla parte IV, Allegato D.
In questo allegato il produttore deve identificare il rifiuto adottando la corretta metodologia di attribuzione che non si basa, come spesso erroneamente si pensa, sulla descrizione della natura del rifiuto o della sua merceologia, ma consiste nell’identificare la fonte che genera il rifiuto stesso.
Da ciò discende, ad esempio, che un rifiuto costituito da sacchetti in plastica che contenevano pellets non può essere codificato con CER 170203 (plastica) poiché questo identifica la classe dei rifiuti generati dalle operazioni di costruzione e demolizione; sarà piuttosto da codificare con il codice 150102 che identifica i rifiuti di imballaggio in plastica. Allo stesso modo gli scarti in vetroresina (VTR) generati dai tradizionali processi di produzione di imbarcazioni in VTR durante gli interventi di rifilatura e smussatura non sono adeguatamente rappresentati dal codice, talvolta utilizzato, CER 101103 (scarti di materiali in fibra a base di vetro) il quale identifica i rifiuti provenienti dai processi termici della fabbricazione del vetro che nulla hanno a che fare con i tradizionali procedimenti di formatura a freddo delle imbarcazioni o dei prodotti in vetroresina in generale. La confusione è confermata quando ci si trova di fronte all’utilizzo abusato dei codici con descrizione generica che terminano con 99 che andrebbero invece utilizzati “per ultimo e per forza”.
Spesso poi accade che la corretta identificazione e valutazione del rifiuto si riveli un impedimento al suo conferimento al trasportatore prescelto perché quest’ultimo non è autorizzato a gestire il codice CER attribuito. Ecco allora che nella pratica avviene il procedimento inverso: piuttosto che attribuire il codice sulla base dell’origine del rifiuto lo si attribuisce sulla base di quelli che il trasportatore è autorizzato a gestire o, nel più imbarazzante dei casi, al consulente che ha effettuato la classificazione viene timidamente proposta la possibilità di variare codice CER per rinvenire il codice per la cui gestione il trasportatore sia autorizzato.
E se questo può avere conseguenze sanzionatorie, non trascuriamo i casi in cui i risvolti per il produttore sono anche di natura economica: il suggerimento incauto, ad esempio, di raccogliere i rifiuti, indistintamente pericolosi e non pericolosi, tutti insieme nello stesso cassone, lo stesso che poi il trasportatore provvederà a ritirare, comporta spesso che anche il rifiuto non pericoloso, così messo nel calderone, venga classificato speciale pericoloso implicando peraltro anche il conferimento in discarica di qualcosa che invece potrebbe essere avviato al recupero. Ciò, oltre ad andare contro il principio di prevenzione e recupero, oltre ad essere in certi casi nell’illegalità poiché è vietato miscelare rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi, si traduce anche in un onere economico per il produttore poiché è risaputo che il costo di smaltimento dei rifiuti pericolosi è maggiore di quelli non pericolosi (salvo particolari accordi commerciali), con tutte le differenti implicazioni che ne derivano anche dal punto di vista gestionale.
Di qui allora, stante anche le implicazioni economiche, deve nascere nel produttore anche l’interesse oltre che l’obbligo di determinare correttamente la natura dei rifiuti prodotti eseguendo anche una ricerca analitica degli inquinanti ove necessario, perché gestire correttamente il rifiuto in tutte le sue fasi significa spesso risparmio.
E’ innegabile come il corpo normativo della gestione dei rifiuti sia diventato più che mai complesso: se da un lato sono indubbiamente apprezzabili gli sforzi del legislatore nel mettere ordine in un campo così vasto e minato, dall’altro non si può non considerare che il continuo susseguirsi di provvedimenti con la mancata effettiva sostituzione e abrogazione degli stessi, le molteplici modifiche e integrazioni che intervengono e che in taluni casi si sovrappongono, contribuiscano a creare difficoltà di interpretazione e confusione in un panorama legislativo spesso indecifrabile.
In questo contesto le imprese, ritrovandosi a dover fare i conti con una realtà così intricata, spesso stentano a capire quale sia la condotta più corretta da tenere.
Se però queste difficoltà sono del tutto comprensibili, non altrettanto condivisibili e giustificabili risultano le scelte di chi irresponsabilmente ancora si affida a soggetti impreparati o si scaraventa in prassi distorte ed interpretazioni “fai da te” fino ad arrivare a doversi arrendere, nel peggiore dei casi, solo quando la Cassazione si pronuncia e ripristina i principi di base.
Risulta evidente che gli accenni fin qui esposti non esauriscono gli obblighi e gli adempimenti del produttore nella gestione del rifiuto. Nulla si è detto infatti in ordine al deposito temporaneo, alla tenuta dei registri o a quella dei MUD e non poca rilevanza hanno a tal proposito le novità apportate dal nuovo correttivo 2008, ma sicuramente appare chiara una cosa: ciò che agli occhi delle imprese può sembrare caotico e non ben definito, in fondo, come poi si vede, delle regole ce le ha e vanno rispettate.
E chi purtroppo ha conosciuto la natura colposa dell’illecito penale ambientale, più di ogni altro sa di cosa sto parlando.
In questo allegato il produttore deve identificare il rifiuto adottando la corretta metodologia di attribuzione che non si basa, come spesso erroneamente si pensa, sulla descrizione della natura del rifiuto o della sua merceologia, ma consiste nell’identificare la fonte che genera il rifiuto stesso.
Da ciò discende, ad esempio, che un rifiuto costituito da sacchetti in plastica che contenevano pellets non può essere codificato con CER 170203 (plastica) poiché questo identifica la classe dei rifiuti generati dalle operazioni di costruzione e demolizione; sarà piuttosto da codificare con il codice 150102 che identifica i rifiuti di imballaggio in plastica. Allo stesso modo gli scarti in vetroresina (VTR) generati dai tradizionali processi di produzione di imbarcazioni in VTR durante gli interventi di rifilatura e smussatura non sono adeguatamente rappresentati dal codice, talvolta utilizzato, CER 101103 (scarti di materiali in fibra a base di vetro) il quale identifica i rifiuti provenienti dai processi termici della fabbricazione del vetro che nulla hanno a che fare con i tradizionali procedimenti di formatura a freddo delle imbarcazioni o dei prodotti in vetroresina in generale. La confusione è confermata quando ci si trova di fronte all’utilizzo abusato dei codici con descrizione generica che terminano con 99 che andrebbero invece utilizzati “per ultimo e per forza”.
Spesso poi accade che la corretta identificazione e valutazione del rifiuto si riveli un impedimento al suo conferimento al trasportatore prescelto perché quest’ultimo non è autorizzato a gestire il codice CER attribuito. Ecco allora che nella pratica avviene il procedimento inverso: piuttosto che attribuire il codice sulla base dell’origine del rifiuto lo si attribuisce sulla base di quelli che il trasportatore è autorizzato a gestire o, nel più imbarazzante dei casi, al consulente che ha effettuato la classificazione viene timidamente proposta la possibilità di variare codice CER per rinvenire il codice per la cui gestione il trasportatore sia autorizzato.
E se questo può avere conseguenze sanzionatorie, non trascuriamo i casi in cui i risvolti per il produttore sono anche di natura economica: il suggerimento incauto, ad esempio, di raccogliere i rifiuti, indistintamente pericolosi e non pericolosi, tutti insieme nello stesso cassone, lo stesso che poi il trasportatore provvederà a ritirare, comporta spesso che anche il rifiuto non pericoloso, così messo nel calderone, venga classificato speciale pericoloso implicando peraltro anche il conferimento in discarica di qualcosa che invece potrebbe essere avviato al recupero. Ciò, oltre ad andare contro il principio di prevenzione e recupero, oltre ad essere in certi casi nell’illegalità poiché è vietato miscelare rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi, si traduce anche in un onere economico per il produttore poiché è risaputo che il costo di smaltimento dei rifiuti pericolosi è maggiore di quelli non pericolosi (salvo particolari accordi commerciali), con tutte le differenti implicazioni che ne derivano anche dal punto di vista gestionale.
Di qui allora, stante anche le implicazioni economiche, deve nascere nel produttore anche l’interesse oltre che l’obbligo di determinare correttamente la natura dei rifiuti prodotti eseguendo anche una ricerca analitica degli inquinanti ove necessario, perché gestire correttamente il rifiuto in tutte le sue fasi significa spesso risparmio.
E’ innegabile come il corpo normativo della gestione dei rifiuti sia diventato più che mai complesso: se da un lato sono indubbiamente apprezzabili gli sforzi del legislatore nel mettere ordine in un campo così vasto e minato, dall’altro non si può non considerare che il continuo susseguirsi di provvedimenti con la mancata effettiva sostituzione e abrogazione degli stessi, le molteplici modifiche e integrazioni che intervengono e che in taluni casi si sovrappongono, contribuiscano a creare difficoltà di interpretazione e confusione in un panorama legislativo spesso indecifrabile.
In questo contesto le imprese, ritrovandosi a dover fare i conti con una realtà così intricata, spesso stentano a capire quale sia la condotta più corretta da tenere.
Se però queste difficoltà sono del tutto comprensibili, non altrettanto condivisibili e giustificabili risultano le scelte di chi irresponsabilmente ancora si affida a soggetti impreparati o si scaraventa in prassi distorte ed interpretazioni “fai da te” fino ad arrivare a doversi arrendere, nel peggiore dei casi, solo quando la Cassazione si pronuncia e ripristina i principi di base.
Risulta evidente che gli accenni fin qui esposti non esauriscono gli obblighi e gli adempimenti del produttore nella gestione del rifiuto. Nulla si è detto infatti in ordine al deposito temporaneo, alla tenuta dei registri o a quella dei MUD e non poca rilevanza hanno a tal proposito le novità apportate dal nuovo correttivo 2008, ma sicuramente appare chiara una cosa: ciò che agli occhi delle imprese può sembrare caotico e non ben definito, in fondo, come poi si vede, delle regole ce le ha e vanno rispettate.
E chi purtroppo ha conosciuto la natura colposa dell’illecito penale ambientale, più di ogni altro sa di cosa sto parlando.